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“Ripartire dalle reti di solidarietà”

Data: 05/09/2012
Categoria: News Associazioni Lecce e provincia

É con queste parole che la Rete antirazzista Salento ha commentato i dati dello studio “Racist hate speech” sull'odio razziale, auspicando la creazione di un codice deontologico da condividere con gli operatori dell'informazione

«Nonostante tutto credo che la cittadinanza sia più avanti della politica». È con queste parole che Antonio Ciniero, portavoce della Rete antirazzista Salento, coordinamento che riunisce numerose associazioni della provincia di Lecce, ha commentato il quadro emerso dallo studio “Racist hate speech” elaborato da un network di associazioni italiane composto da 8 organizzazioni. Secondo lo studio presentato nell’ambito di un incontro del Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale delle Nazioni unite (Cerd) in materia di incitamento all’odio razziale tenutosi nei giorni scorsi a Ginevra, infatti, in Italia si registra un aumento dei fenomeni di incitamento all'odio razziale legati ai discorsi politici e ai media specialmente nei confronti di rom e sinti, nonché un incremento del razzismo diffuso attraverso i nuovi canali, quali internet e social media

«La retorica razzista dell'emergenza e della sicurezza – spiega Ciniero – è stata sperimentata fin dai tempi dello sbarco degli Albanesi in Italia negli anni '90. In Italia esiste innanzitutto un problema di lessico che andrebbe depurato perché si tende ad attribuire, ad esempio, ai casi di cronaca legati a motivazioni razziste, altre cause generiche quali la violenza o il semplice bullismo. Non si da il giusto nome alle cose e questo è un tappo per la costruzione di una base culturale capace di debellare gli atteggiamenti discriminatori». 

Nello studio, inoltre, si fa più volte riferimento alla propaganda portata avanti in Italia da compagini politiche come la Lega Nord e Forza Nuova che hanno legittimato un atteggiamento discriminatorio e ricco di stereotipi nei confronti delle minoranze tanto da utilizzarlo quale motore per la crescita del consenso popolare. Anche i media non sono indenni a questo tipo di approccio: secondo “Racism hate speech” le informazioni veicolate in Italia sono spesso di parte in quanto difficilmente danno spazio al punto di vista delle minoranze, privilegiando la notizia a effetto impregnata di stereotipi e luoghi comuni. «Sarebbe utile – continua Ciniero – che si definisse un codice deontologico condiviso da parte dei giornalisti che parla da un percorso di vera e propria “pulizia” del lessico». La paura del diverso, infatti, viene instillata e rafforzata dai media. «Vince la logica del dividi et impera portata avanti dagli “imprenditori del razzismo” alla continua ricerca di un capro espiatorio a problematiche di natura differente. Esiste, infatti, una vera e propria geografia del razzismo: al sud gli immigrati rubano il lavoro, al nord le case. I problemi in realtà sono altri, ma questa retorica si trasforma in consenso elettorale».

La forte partecipazione alla campagna “L'Italia sono anch'io”, però, sembra aver gettato una luce di speranza. «La società è già interculturale – chiosa Ciniero – e l'unica strada per combattere il diffondere di atteggiamenti discriminatori è di allargare i diritti. A Lecce, ad esempio, all'annuncio dello sgombero del Campo Rom Panareo la popolazione ha reagito dimostrando solidarietà a queste persone. Le reti solidali – conclude – esistono ancora e funzionano ed è da qui che bisogna partire».

Lo studio è stato realizzato da: associazione 21 luglio, Archivio delle Memorie Migranti, Articolo 3 – Osservatorio sulle discriminazioni, Associazione Carta di Roma, Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, Borderline Sicilia Onlus, Lunaria e Unione forense per la tutela dei diritti umani. 



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