Il Mezzogiorno nel rapporto Censis
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Crisi e Sud Italia: nel documento presentato dal Centro studi emergono le disaguaglianze tra le regioni meridionali e settentrionali. I dati si riferiscono al periodo tra il 2007 e il 2012

Disparità tra Nord e Sud sempre più marcate.
Si è svolta a Roma la conferenza stampa di presentazione del Rapporto "La crisi sociale del Mezzogiorno", realizzato dal Censis, nell’ambito dell’iniziativa annuale “Un giorno per Martinoli. Guardando al futuro”. Dai dati presentati il Mezzogiorno risulta essere abbandonato a se stesso, con redditi più bassi che in Grecia, giusto per fare un paragone. Il periodo preso in considerazione dal Centro studi è compreso tra il 2007 e il 2012, in questo arco di tempo, come hanno potuto appurare i ricercatori, il Pil del Mezzogiorno si è ridotto del 10 per cento in termini reali a fronte di una flessione del 5,7 per cento registrata nel Centro-Nord.
“Nel 2007 il Pil italiano era pari a 1.680 miliardi di euro – affermano dal Censis -, 5 anni dopo si era ridotto a 1.567 miliardi. Nella crisi abbiamo perso quindi 113 miliardi di euro, molto più dell’intero Pil dell’Ungheria, un Paese di quasi 9 milioni d’abitanti. Di questi, 72 miliardi di euro si sono persi al Centro-Nord e 41 miliardi (pari al 36 per cento) al Sud”. Negli anni le difficoltà che hanno portato a questo stato di cose si sono accumulate, i ricercatori ne hanno elencate alcune: "Piani di governo poco chiari, una burocrazia lenta nella gestione delle risorse pubbliche, infrastrutture scarsamente competitive, una limitata apertura ai mercati esteri e un forte razionamento del credito".
Tutto questo ha avuto inevitabili ripercussioni sul piano economico e di conseguenza sociale. "Negli ultimi decenni il Pil pro-capite meridionale è rimasto in modo stabile intorno al 57 per cento di quello del Centro-Nord, testimoniando l’inefficacia delle politiche di sostegno allo sviluppo messe in atto, che non hanno saputo garantire maggiore occupazione, nuova imprenditorialità, migliore coesione sociale, modernizzazione dell’offerta dei servizi pubblici" - si continu a leggere nel rapporto.
Le diseguaglianze crescono e rendono difficile la crescita del Paese, secondo quanto riferisce il Censis. Il rapporto si compone di indagini nei vari settori quali il lavoro, dove si è notata una destrutturazione e un impoverimento. "Dei 505 mila posti di lavoro persi in Italia dall’inizio della crisi, tra il 2008 e il 2012, il 60 per cento ha riguardato il Mezzogiorno (più di 300 mila). E'per il Sud, anzi, pae alcune categorie sociali, giovani e donne in primis, il prezzo più alto da pagare. “Un terzo dei giovani tra i 15 e i 29 anni non riesce a trovare un lavoro (in Italia il tasso di disoccupazione giovanile è al 25 per cento) – sottolinea il Censis -. Se poi oltre a essere giovani si è donne, la disoccupazione sale al 40 per cento. Il tasso di disoccupazione femminile totale è del 19 per cento al Sud a fronte di un valore medio nazionale dell’11 per cento. I disoccupati con laurea sono in Italia il 6,7 per cento a fronte del 10 per cento nel Mezzogiorno”.
Per quanto riguarda il sistema imprenditoriale, si legge che: “è stato sottoposto negli ultimi anni a un processo di progressivo smantellamento, costellato da crisi d’impresa molto gravi come quelle dell’Ilva di Taranto e della Fiat di Termini Imprese”. Tra il 2007 e il 2011 gli occupati nell’industria meridionale si sono ridotti del 15,5 per cento (con una perdita di oltre 147 mila unità) a fronte di una flessione del 5,5 per cento nel Centro-Nord. Oltre 7.600 imprese manifatturiere del Mezzogiorno (su un totale di 137 mila aziende) sono uscite dal mercato tra il 2009 e il 2012, con una flessione del 5,1 per cento e punte superiori al 6 per cento in Puglia e Campania. Si allargano le distanze sociali: Calabria, Sicilia, Campania e Puglia registrano indici di diseguaglianza più elevati della media nazionale. Il 26 per cento delle famiglie residenti nel Mezzogiorno è materialmente povero, a fronte di una media nazionale del 15,7 per cento. E nel Sud sono a rischio di povertà 39 famiglie su 100 a fronte di una media nazionale del 24,6 per cento”. A rendere ancora più pesante il quadro, il persistere di meccanismi clientelari, di circuiti di potere impermeabili alla società civile e la diffusione di intermediazioni improprie nella gestione dei finanziamenti pubblici.
Nel rapporto si fa anche riferimento ai fondi europei, risorse non spese e programmi inefficaci. I contributi assegnati per i programmi dell’Obiettivo Convergenza destinati alle regioni meridionali ammontano a 43,6 miliardi di euro per il periodo 2007-2013. A meno di un anno dalla chiusura del periodo di programmazione risulta impegnato appena il 53 per cento delle risorse disponibili e spesi 9,2 miliardi (il 21,2 per cento). “Anche l’efficacia dei programmi attivati con i fondi europei è discutibile. Al contrario di ciò che è accaduto in altri Paesi con un marcato dualismo territoriale, in Italia la convergenza tra Sud e Nord non si è mai realmente affermata. Prova ne è il fatto che nel prossimo ciclo di programmazione l’Ue stima che la popolazione sottoposta all’Obiettivo Convergenza passerà in Italia dall’11 per cento al 14 per cento del totale, mentre altri Paesi vedranno calare drasticamente tale quota: la Germania passerà dal 5,4 per cento allo 0 per cento e la Spagna dal 9,1 per cento allo 0,9 per cento.
Risultati poco soddisfacenti anche nel settore scuola e formazione e nel campo della sanità. La spesa pubblica per l’istruzione e la formazione nel Mezzogiorno è molto più alta di quella destinata al resto del Paese: il 6,7 per cento del Pil contro il 3,1 per cento del Centro-Nord, ovvero 1.170 euro pro-capite nel Mezzogiorno rispetto ai 937 del resto d’Italia (ovvero il 24,9 per cento in più). Eppure, il tasso di abbandono scolastico è del 21,2 per cento al Sud e del 16 per cento al Centro-Nord, i livelli di apprendimento e le competenze sono decisamente peggiori.
“Il progressivo deterioramento dei servizi sanitari negli ultimi cinque anni è riferito dal giudizio dei cittadini: lo afferma il 7,5 per cento al Nord-Ovest, l’8,7 per cento al Nord-Est, il 25,6 per cento al Centro e addirittura il 32,1 per cento al Sud. Il 17,1 per cento dei residenti meridionali si è spostato in un’altra regione per farsi curare, non fidandosi della qualità e della professionalità disponibili nella propria. Forte è la tendenza all’aumento della longevità. Si prevede al 2030 un incremento della popolazione anziana di oltre il 35 per cento contro dinamiche di crescita meno marcate nelle altre aree geografiche. In parallelo crescerà molto anche il numero dei non autosufficienti, destinati a superare i 783 mila, con un balzo di oltre il 50 per cento”.
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