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Centri servizi volontariato “regionali”? Un falso problema

Data: 07/10/2014
Categoria: News CSV Salento

Interviene Luigi Russo presidente di CSV Net Puglia nel dibattito che sta toccando i vertici dei CSV italiani: occorre respingere un'idea di riforma “punitiva” che tende a indebolire il sistema di infrastrutturazione sociale dei CSV. Il contributo ripreso da Redattore Sociale

Il Presidente di CSV Net Puglia Luigi Russo entra nel dibattito di questi giorni sulla riforma dei Centri di Servizio al Volontariato con un contributo, ripreso dall'Agenzia Stampa Redattore Sociale che qui riportiamo integralmente:

Non era mai successo nel nostro paese che il Parlamento, l’intera classe politica dimostrasse una attenzione così forte nei confronti del Terzo Settore, tanto da mettere in piedi una proposta di riforma che tende a valorizzarne un sistema in forte crescita che produce ricchezza economica e relazionale all’intero paese, come i dati del recente censimento testimoniano. Lo sa Renzi, lo sa il ministro Poletti, lo sa il sottosegretario Luigi Bobba, lo sanno i parlamentari della maggioranza e dell’opposizione. Quei dati, inoltre, dimostrano che da quando c’è la legge 266/91, con il relativo sistema dei CSV presenti in ogni provincia, finanziati con risorse della Fondazioni bancarie, si è cresciuti decisamente in termini numerici, di qualità, di “reti” soprattutto per le piccole realtà associative, come dimostrano tutte le ricerche e come dimostrano le centinaia di iniziative di promozione del volontariato in ogni angolo d’Italia, e non solo nei grandi centri.

Solo chi non capisce nulla di sociale, di sussidiarietà, di cittadinanza attiva e della fatica di fare associazionismo nel senso dell’art 118 della Costituzione, ultimo comma, e magari si ritiene esperto di terzo settore e di volontariato solo perché per obbligo di legge ne sostiene le attività e sta seduto alla poltrona di un ufficio, solo chi non si sporca le mani nel sudore dell’impegno e non rischia sulla propria pelle, può pensare che queste sono risorse spese male e che quindi è meglio centralizzare a Roma il sistema istitutivo, regolativo e di controllo dei CSV.

Il dibattito di questi giorni sulla questione della cosiddetta “regionalizzazione dei CSV”, così come viene rimbalzata anche sugli organi di informazione (vedi “Redattore sociale” del 6 ottobre 2014), avviato giorni fa da una delibera della Presidenza dell’Associazione casse di risparmio è pertanto un falso problema, una specie di cavallo di troia. Dietro non c’è una volontà di migliorare il sistema dei CSV - in questi anni si sono decisamente migliorati in maniera autonoma in termini di efficienza e di qualità e possono continuare a farlo - ma quella di utilizzare il refrain “spendere meno perché c’è la crisi” per spostare il potere di controllo amministrativo dalle mani attuali di sistemi misti di carattere regionale (i CoGe, costituiti da soggetti indicati da Fondazioni-Istituzioni regionali-Volontari), che casomai vanno resi più democratici, a super cupole tecniche nazionali che, nelle intenzioni dichiarate dagli stessi promotori - vedi la presa di posizione della Federazione Ada e gli 8 punti che Ada sostiene essere stati votati dal Forum nazionale del TS – dovrebbero avere anche una capacità di indirizzo, togliendo all’autonoma iniziativa dei CSV (e quindi alla gran parte del Volontariato che è socio dei Csv) la possibilità di scegliere quale volontariato sostenere.

Insomma, dai ragionamenti che si sentono e da quelli che si fanno in alcuni tavoli (vedi ancora gli 8 punti) è in atto un tentativo di togliere alla base sociale del volontariato che gestisce i CSV nei territori locali la loro capacità di rimanere “sistema” che produce e implementa i “beni Comuni”, secondo logiche non centralistiche. Insomma è la solita, ciclica, stucchevole guerra centro/periferia; cui si aggiunge la solita guerra tra alcuni grandi enti nazionali e le piccole realtà locali del terzo settore; e magari anche la fame di soldi di alcune realtà parasociali, che amano spesso diffamare i volontari perché li considerano “nemici” dei lavoratori.

Ovviamente la reazione delle associazioni di volontariato locali e delle più serie reti nazionali non si è fatta attendere. Il MoVi  ha diffuso un documento chiarissimo che boccia la “regionalizzazione” imposta dall’alto. I CSV, con i suoi 700 dirigenti “volontari” espressione delle associazioni, cui si aggiungono gli oltre 600 dipendenti ad alta professionalizzazione, hanno mandato a dire ai vertici di CSV NET (decine i documenti e le delibere approvate in questi giorni) che non ci stanno a subire passivamente in silenzio l’ennesimo ricatto.

Il presidente Stefano Tabò ha avuto dal direttivo del 5 ottobre soltanto una delega a completare i processi di ricognizione iniziati nella direzione di una ipotesi di confederazione, ma a muoversi solo su “precisi binari”: dialogare certo con ACRI, ma anche con il ministero del Lavoro che è quello competente per la prossima riforma; esigere una volta per tutte il rispetto della straordinaria storia dei CSV in Italia e delle persone che ci lavorano con passione e spirito di abnegazione; stare dalla parte del volontariato italiano, soprattutto quello più piccolo, provinciale, territoriale, da dove egli stesso proviene; essere chiaro nelle proposte e non fare pericolose fughe solitarie in avanti; esigere una stabilizzazione adeguata delle risorse economiche, con precise perequazioni territoriali e nel rispetto delle pari opportunità. L’8 novembre l’assemblea straordinaria di CSV Net sicuramente glielo ripeterà con maggiore decisione.

C’è spazio sicuramente per una efficientizzazione ulteriore del sistema dei CSV, compreso i CoGe che hanno il loro valore indifferibile. Si possono mettere in campo operazioni come quella della Puglia (ma accade la stessa cosa anche in altre regioni) che ha avviato da 6 anni un processo di integrazione dei CSV provinciali, con la creazione di un coordinamento regionale che ha una precisa soggettività giuridica e precise deleghe di rappresentanza. I risultati sono evidenti: l’unione dei due CSV di Foggia; la scelta di coprogettare in campi che si prestano a una visione regionale (informazione, formazione dei quadri, partecipazione alla programmazione dei fondi strutturali europei, ricerca, contabilità uniforme), vincolando il 7% del loro bilancio; convenzioni con la Regione Puglia per la gestione di progetti che promuovono il volontariato. Questa è la strada, la si può anche chiamare processo di “Confederazione”, ma deve essere un processo condiviso e interno al sistema dei CSV, non eterodiretto, non frutto di ricatti; e deve sempre essere salvaguardato il valore delle autonomie e anche la serenità delle persone coinvolte.

Luigi Russo



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