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L'uomo che dribblava i treni

Data: 24/10/2016
Categoria: Un libro a settimana

Michele Capitani racconta storie di uomini e donne senza fissa dimora, che mostrano un'umanità vicina alle radici della vita e al suo senso. Un'umanità sconosciuta eppure tristemente visibile

Michele Capitani, professore di Lettere, appartiene alla Comunità di Sant’Egidio e da anni si dedica alle persone senza fissa dimora. Attraverso quest’attività “sociale” è venuto a contatto con tante storie di un’umanità sconosciuta, eppure visibile in ogni angolo delle nostre città. A queste storie è dedicato il suo nuovo libro "L’uomo che dribblava i treni". Pagine che partono da una domanda: “Come si chiama il mendicante che sta di solito all’uscita del supermercato?”. È lì da anni, ma il suo nome, probabilmente, ci è ignoto. Forse perché dargli una moneta è un modo per liberarcene e assolvere la nostra coscienza. L’umanità di cui si parla in queste pagine è fatta di uomini e donne che vivono per strada: le loro storie – spesso drammatiche, a volte assurde, talora comiche – mettono a nudo l’ ipocrisia delle persone cosiddette civili e rivelano la molteplicità delle risorse di una popolazione apparentemente invisibile, ma che reclama soltanto un posto più dignitoso nelle nostre città e nel cuore di chi una casa ce l’ha.

C’è chi, come Renato, prima di mettersi a dormire in stazione, diventata ormai il suo riparo per la notte, legge articoli sportivi su partite che non vedrà mai, o chi, come Davide, ha escogitato un sistema per dribblare i treni ed eludere la sorveglianza della polizia. O ancora chi, come Jan, dice di vedere gli Ufo e gli lascia anche da mangiare... Sospesi tra l’abbrutimento di una vita ai margini e la poesia della strada, fatta di piccoli-grandi gesti gratuiti e inaspettati, i vagabondi, gli emarginati, i barboni che tendono una mano accovacciati sui marciapiedi sono spesso straordinariamente vicini alle radici della vita e al suo senso. “I senza-dimora - scrive l’Autore - hanno bisogno che il loro mondo si compenetri vicendevolmente con il mondo della città visibile, poiché ci guadagnano entrambi [...]. E quando si riesce ad aiutare un bisognoso con l’abilità di non farlo sentire commiserato, con l’equilibrio tra sollecitudine, egualitarismo e discrezione... ecco, ci scopriamo immersi in qualcosa che, quasi quasi, potremmo anche chiamare amore”. www.paoline.it



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