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Brancaccio e l’insegnamento di Don Puglisi

Data: 09/09/2018
Categoria: Altre News

Il 15 settembre ricorre l’anniversario della morte del religioso rivoluzionario , che ha fatto di Brancaccio l’esempio di un riscatto. Tra volontariato, vangelo e mafia semi di speranza nel quartiere siciliano.

Se Brancaccio può contare su sportelli di assistenza, poli sportivi, un auditorium, il doposcuola, strutture per il recupero di detenuti o per l’accoglienza delle famiglie in difficoltà e un centro per anziani è merito di quel laboratorio di carità sociale e civile nato dalla mente di don Pino Puglisi.

Nel quartiere di don Puglisi che rinasce sui suoi passi Scuole e sportelli sociali per vincere la mafia e la povertà si fa fatica a pensare che fino a due anni fa fosse un rudere, adesso che è un piccolo gioiello architettonico in mezzo alle palazzine cadenti e agli anonimi condomini della periferia di Palermo. Eppure, prima che diventasse il centro di aggregazione per anziani, il “Mulino del sale” – come tutti chiamano questo edificio – era ridotto a un cumulo di macerie. Oggi, non appena si varca il grande portone in legno, danno il benvenuto a chi entra le immagini di padre Pino Puglisi e le foto di un passato ormai archiviato. E l’ex macinatoio è diventato uno dei simboli della rinascita di Brancaccio, il quartiere segnato dalla mafia, dal degrado, dall’emarginazione. Semi di speranza che stanno cambiando un agglomerato dimenticato e che sono tutti scaturiti dalle intuizioni di don Puglisi. Perché fra queste vie dissestate il “prete del sorriso” è nato, ha vissuto, è stato parroco e di fronte alla casa di famiglia è stato ucciso 25 anni fa per aver fatto tremare Cosa Nostra con la sua tenacia e la convinzione che il Vangelo dovesse tradursi in riscatto sociale. Il mite “rivoluzionario” ha aperto la strada durante i tre anni in cui ha guidato la parrocchia di San Gaetano prima di essere assassinato su mandato dei fratelli Graviano, i boss della zona. E il suo martirio – che ne ha fatto il primo beato della Chiesa ammazzato dalla mafia – ha portato frutti. In parte per mano delle istituzioni; in maniera ben più consistente grazie al coraggio del Centro Padre Nostro, il presidio fondato da Puglisi poco dopo essere tornato come sacerdote nel suo rione d’origine.

Se adesso a Brancaccio c’è una scuola media (intitolata proprio al prete di frontiera) o è appena stato inaugurato un campetto da calcio a due passi dal luogo in cui il sacerdote è morto nel giorno del suo 56° compleanno, il 15 settembre 1993, lo si deve al Comune. Ma se oggi il quartiere può contare su sportelli di assistenza, poli sportivi, un auditorium, il doposcuola, strutture per il recupero di detenuti o per l’accoglienza delle famiglie in difficoltà, il centro anziani o persino una piscina, è merito di quel laboratorio di carità sociale e civile nato dalla mente del beato che declina nel quotidiano la sua eredità e che mobilita più di cinquanta volontari insieme a quindici giovani in servizio civile. Ottomila le famiglie che abitano a Brancaccio. In maggioranza marchiate dall’esperienza del carcere, dalla povertà, dalla mancanza di lavoro, dall’abbandono scolastico. «Ma non sono solo i bisogni materiali l’urgenza. La nostra priorità è sostenere le famiglie a 360 gradi, in particolare nel loro compito educativo che le vede spesso latitare», afferma Valentina Caruso. Lei è la responsabile di un’autentica “palestra” formativa creata dal Centro negli scantinati dei casermoni che dominano la borgata. In cinque stanze si alternano fra mattina e pomeriggio lo “Spazio giochi” per i piccoli con meno di tre anni, le attività del recupero scolastico, il gruppo giovani. Quasi centocinquanta i bambini e i ragazzi che ci orbitano intorno ogni settimana.  Sono seicento i nuclei familiari seguiti dal Centro. «Assieme a loro viviamo le carenze e le miserie ma lottiamo uniti perché il futuro sia migliore», confida la psicologa Laura Stallone, da più di venti anni volontaria nel quartiere.

Con il banco alimentare o distribuendo farmaci; progettando un asilo nido, ultimo sogno di “3P”; offrendo gratis un avvocato; impiantando un centro polivalente sportivo che viene usato anche dalle classi di due scuole di Brancaccio dove non c’è traccia di una palestra; dando una chance ai carcerati. «Chiunque, soprattutto gli studenti, dovrebbe visitare un penitenziario e incontrare chi ci è recluso per capire che cosa sia la delinquenza», sostiene Matilde Foti, volontaria che guida i visitatori nella casa-museo di padre Puglisi. All’ingresso, nel punto in cui il parrinu è stato ucciso, si fermerà in preghiera papa Francesco il 15 settembre.Certo, la scommessa di “redimere” l’ex bunker di Cosa Nostra è costellata di atti vandalici o minacce di morte. Più di centoventi le denunce che il Centro ha presentato negli ultimi anni. «È innegabile che ci sia un segmento dell’agglomerato ancorato a logiche del passato. Ma tocchiamo con mano che in tanti, in tantissimi desiderano lasciarsi alle spalle una storia legata alla criminalità organizzata », dice Valeria Mandalà. È la psicoterapeuta socia del Centro Padre Nostro a disposizione della comunità. O meglio, di tutta Palermo. «Brancaccio è visto dalla città ancora come uno scarto – ammette –. Solo chi ci risiede o è costretto a venirci arriva qui. Per certi versi resta un ghetto. Rompere l’isolamento è fondamentale». E Artale avverte: «La mafia non tollera che il quartiere si apra all’esterno dal momento che ciò comporta la perdita di controllo del territorio. Invece l’affrancamento di Brancaccio passa sia dal dialogo oltre i suoi confini, sia dalla consapevolezza che la cultura criminale attecchisce dove mancano scuole o luoghi di aggregazione». Che padre Puglisi immaginava. E che nel 2018, dopo un quarto di secolo dal suo martirio, finalmente ci sono.

MMB

 

 

 

 

Fonte: Avvenire



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